16/01/11

L'EUROPA PUO' ESSERE SALVATA? (seconda parte)

Ecco la seconda parte di Mr. Nobel Krugman, dove infine ragiona sugli scenari futuri...c'è da ridere!!!
ROMA - Protesta studentesca contro la riforma nel sistema universitario il 22 dicembre in Italia, dove la disoccupazione giovanile è a circa il 25 per cento.

Buona lettura: 

EUROFORIA/ EUROCRISI
    
L'euro è entrato ufficialmente in vigore il 1 gennaio 1999. All'inizio era una moneta virtuale: c'erano conti bancari e trasferimenti elettronici denominati in euro, ma la gente nel portafogli aveva ancora franchi, marchi e lire. Tre anni dopo, è stato fatto il passaggio finale, e l'euro è diventato la moneta europea.
La transizione è stata agevole: bancomat e registratori di cassa sono stati convertiti rapidamente e con pochi problemi. L'euro è diventato una delle principali valute internazionali: il mercato delle obbligazioni in euro ha presto cominciato a competere con il mercato obbligazionario in dollari; banconote in euro hanno iniziato a circolare in tutto il mondo. E la creazione dell'euro ha instillato un nuovo senso di fiducia, specialmente in quei paesi europei che venivano storicamente considerati come paesi a rischio per gli investimenti. Solo più tardi ci si è resi conto che questa ondata di fiducia era l'esca di una pericolosa trappola.

La Grecia, con la sua lunga storia di default sul debito e periodi di alta inflazione, è stata l'esempio più lampante. Fino alla fine degli anni 1990, la storia fiscale della Grecia si rifletteva nei rendimenti dei suoi titoli: gli investitori compravano obbligazioni emesse dal governo greco solo se queste rendevano interessi molto più elevati rispetto a quelle emesse dai governi percepiti come sicuri, ad esempio la Germania. Al debutto dell'euro, però, il premio al rischio sulle obbligazioni greche è sfumato. Dopo tutto, il pensiero andava al fatto che il debito greco presto sarebbe stato immune dai pericoli dell inflazione: avrebbe provveduto la Banca centrale europea. E non era possibile immaginare che un qualsiasi membro dell'unione monetaria nuova di zecca potesse andare in fallimento, vero?


E infatti, dalla metà degli anni 2000 la paura che i singoli paesi potessero incorrere in problemi di tipo fiscale era del tutto scomparsa dalla scena europea. Obbligazioni greche, obbligazioni irlandesi, obbligazioni spagnole, obbligazioni portoghesi - erano tutte date per sicure come le obbligazioni tedesche. L'aura di fiducia si estendeva fino a quei paesi che non erano ancora nell'euro, ma si supponeva sarebbero entrati nel prossimo futuro: nel 2005 la Lettonia, che a quel tempo sperava di poter adottare l'euro entro il 2008, era in grado di prendere prestiti a buon mercato quasi come l'Irlanda (il passaggio all'euro della Lettonia per ora è stato rinviato, anche se la vicina Estonia ha aderito dal 1 gennaio).

Mentre i tassi di interesse convergevano in tutta Europa, i paesi che prima avevano tassi alti furono presi, come prevedibile, dall'euforia dei prestiti ( vale la pena notare che questa euforia sui prestiti è stata in gran parte finanziata dalle banche tedesche e di altri paesi tradizionalmente a basso tasso d'interesse; ed è per questo che gli attuali problemi del debito della periferia europea sono anche un grosso problema per il sistema bancario europeo nel suo complesso). In Grecia è stato soprattutto il governo ad accendere grossi prestiti. Ma altrove sono stati i soggetti privati. L'Irlanda, come ho già detto, ha avuto un boom immobiliare: i prezzi delle case sono aumentati del 180 per cento dal 1998, poco prima dell'introduzione dell'euro, al 2007. Anche in Spagna i prezzi sono aumentati quasi atrettanto. Ci sono stati boom anche nelle nazioni ancora-non-euro: i soldi hanno inondato l'Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Bulgaria e la Romania.

E' stato un periodo esaltante, e non solo per i mutuatari. Alla fine degli anni '90, l'economia tedesca era depressa a causa della bassa domanda da parte dei consumatori interni. Ma nel decennio successivo ci fu una ripresa, grazie al boom delle esportazioni guidate dalle spese folli dei suoi vicini europei.


Tutto, insomma, sembrava andare liscio: l'euro era considerato un grande successo.


Poi la bolla è scoppiata.

Ancora si sente la gente che parla della crisi economica mondiale del 2008, come se si trattasse di una crisi nata in America. Ma l'Europa merita di partecipare al conto. Se volete, si è trattato di una crisi del Nord Atlantico, ma c'è da scegliere tra i guai del Nuovo Mondo e del Vecchio . Noi abbiamo avuto i nostri mutui subprime, con persone che si sono assunte, o sono state indotte ad assumere, mutui troppo grandi per il loro reddito; gli europei hanno avuto le loro economie periferiche, che allo stesso modo prendevano in prestito molto più di quello che avrebbero potuto davvero permettersi di restituire. In entrambi i casi, le bolle immobiliari hanno temporaneamente mascherato l'insostenibilità dei prestiti sottostanti: fino a quando i prezzi delle case hanno continuato ad aumentare, i mutuatari potevano sempre ripagare i prestiti precedenti, prendendo in prestito più denaro, e dando in garanzia le loro proprietà. Prima o poi, però, la musica si sarebbe fermata. Entrambe le sponde dell'Atlantico erano polveriere pronte ad esplodere.

In Europa, la prima ondata è arrivata con lo scoppio delle bolle immobiliari, che ha devastato l'occupazione nelle economie periferiche. Nel 2007, il settore delle costruzioni assorbiva il 13 per cento del degli occupati totali, sia in Spagna che in Irlanda, più del doppio degli Stati Uniti. Così, quando cè stata la brusca frenata del boom immobiliare, l'occupazione è crollata. L'ccupazione complessiva è scesa del 10 per cento in Spagna e del 14 per cento in Irlanda; la situazione irlandese è l'equivalente della perdita di quasi 20 milioni di posti di lavoro qui da noi.


Ma questo era solo l'inizio. Alla fine del 2009, mentre gran parte del mondo stava riemergendo dalla crisi finanziaria, la crisi europea è entrata in una nuova fase. Prima la Grecia, poi l'Irlanda, la Spagna e il Portogallo hanno subito drastiche perdite di fiducia da parte degli investitori e, quindi, un aumento significativo degli oneri finanziari. Perché?

In Grecia la storia è semplice: il governo si è comportato in modo irresponsabile, ha mentito ed è stato scoperto. Durante gli anni di prestito facile, il governo conservatore greco ha fatto un sacco di debiti - più di quanto ammesso. Quando il governo è cambiato, nel 2009, i trucchi contabili sono venuti alla luce, e improvvisamente è apparso che la Grecia aveva un deficit e un debito sostanzialmente molto più grandi di quanto non si pensasse. Gli investitori, comprensibilmente, hanno preso il volo.

Ma la Grecia è in realtà un caso poco rappresentativo. Solo pochi anni fa la Spagna, di gran lunga la più grande delle economie in crisi, era un membro europeo modello, con un bilancio in pareggio e un debito pubblico in percentuale del PIL che arrivava solo alla metà di quello tedesco. Lo stesso vale per l'Irlanda. E allora che cosa è andato storto?

In primo luogo, c'è stato un grande contraccolpo fiscale dovuto al crollo. Le entrate sono crollate sia in Spagna che in Irlanda, anche perché il gettito fiscale dipende in larga misura dalle transazioni immobiliari. Nel frattempo, come la disoccupazione saliva, aumentava il costo dei sussidi di disoccupazione - ricordate, parliamo di stati sociali europei, che hanno programmi per proteggere i loro cittadini dalla sventura molto più ampi dei nostri. Come risultato, la Spagna e l'Irlanda sono passate da avanzi di bilancio alla vigilia della crisi ad enormi deficit di bilancio nel 2009.

Poi ci sono stati i costi del risanamento finanziario. Questi sono stati particolarmente pesanti in Irlanda, dove le banche hanno corso sfrenatamente negli anni del boom (e sono state autorizzate a farlo grazie a stretti legami personali e finanziari con i funzionari del governo). Quando la bolla è scoppiata, la solvibilità delle banche irlandesi è stata subito sospetta. Nel tentativo di evitare una corsa in massa agli sportelli, il governo irlandese ha garantito tutti i debiti bancari - accollandosi quei debiti, e mettendo in discussione la propria solvibilità. Le grandi banche spagnole erano ben regolate in confronto, ma vi è stato e vi è ancora un grande nervosismo sullo stato delle piccole casse di risparmio, e preoccupazioni su quanto dovrà spendere il governo spagnolo per salvarle dal collasso.

Tutto questo contribuisce a spiegare perché i creditori hanno perso la fiducia nelle economie europee periferiche. Eppure, ci sono altre nazioni - in particolare, sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna - che hanno registrato consistenti disavanzi che, in percentuale del PIL, sono paragonabili ai deficit della Spagna e dell'Irlanda. Eppure non hanno subito una perdita di fiducia paragonabile. Qual è la differenza con i paesi dell'euro?


Una possibile risposta è "niente": magari uno di questi giorni ci sveglieremo e scopriremo che i mercati staranno fuggendo dall'America, così come oggi fuggono dalla Grecia. Ma la vera risposta probabilmente è più sistemica: è l'euro stesso che rende la Spagna e l'Irlanda così vulnerabili. Perché l'adesione all'euro significa che questi paesi devono attraversare la deflazione per ritrovare la via della competitività, con tutta la pena che questo comporta.

Il guaio con la deflazione non è soltanto il problema del coordinamento evidenziato da Milton Friedman, in cui è difficile far scendere i salari e i prezzi perché tutti vogliono che qualcun altro faccia la prima mossa. Anche quando si riesce ad abbassare i salari, cosa che di fatto sta avvenendo in tutti i paesi dell'euro in crisi, ci si imbatte in un altro problema: i redditi sono in calo, ma non il debito.

Come l'economista americano Irving Fisher ha sottolineato quasi 80 anni fa, il contrasto fra i redditi che si sgonfiano e il debito che rimane invariato può notevolmente peggiorare la crisi economica. Supponiamo che l'economia crolli, per qualsiasi motivo: la spesa scende e così fanno i prezzi e i salari. Ma i debiti non scendono, così i debitori devono rispettare i medesimi obblighi con un reddito minore; per fare questo, devono tagliare le spese ancor di più, e deprimere ulteriormente l'economia. Il modo per evitare questo circolo vizioso, ha detto Fisher, è l'espansione monetaria che blocca la deflazione. E in America e in Gran Bretagna, la Federal Reserve e la Banca d'Inghilterra, rispettivamente, stanno cercando di fare proprio questo. Ma la Grecia, la Spagna e l'Irlanda non hanno questa opzione - non hanno nemmeno la loro moneta, e in tutti i modi devono attraversare la deflazione per rimettere a posto i loro conti.

E quindi c'è una crisi. Nel corso dello scorso anno prima la Grecia, poi l'Irlanda, sono state coinvolte in un circolo vizioso finanziario: come i potenziali prestatori perdevano la fiducia, i tassi di interesse da pagare sul debito crescevano, minando le prospettive future, con conseguente ulteriore perdita di fiducia e tassi di interesse ancora più alti. Le nazioni europee più forti hanno evitato l'implosione immediata solo rifornendo la Grecia e l'Irlanda con linee di credito di emergenza, permettendo loro per il momento di bypassare i mercati privati. Ma come andrà a finire tutto questo?

QUATTRO SCENARI PER L' EUROPA
    
Alcuni economisti, me compreso, guardano ai guai dell'Europa e hanno la sensazione di avere già visto questo film prima d'ora, dieci anni fa, in un altro continente - in particolare, in Argentina.


A differenza della Spagna o della Grecia, l'Argentina non aveva rinunciato alla propria moneta, ma nel 1991 fece quella che sembrava la cosa migliore da fare: ancorò rigidamente la propria valuta al dollaro USA, istituendo un regime di cambio per cui ogni peso in circolazione doveva essere coperto da un dollaro di riserva. Questo avrebbe dovuto impedire il ritorno alla vecchia abitudine argentina di coprire il deficit stampando moneta. E per gran parte degli anni '90, l'Argentina è stata premiata con tassi di interesse molto più bassi e grandi afflussi di capitali esteri.

Alla fine, tuttavia, l'Argentina è scivolata in una persistente recessione, e ha perso la fiducia degli investitori. Il Governo argentino ha cercato di ripristinare la fiducia attraverso una rigorosa ortodossia fiscale, tagliando le spese e aumentando le tasse. Per prendere tempo intanto che l'austerità sortisse i suoi effetti positivi, l'Argentina chiese e ricevette ingenti prestiti dal Fondo Monetario Internazionale - come la Grecia e l'Irlanda hanno chiesto prestiti di emergenza ai loro vicini. Ma il calo persistente della economia argentina, in combinazione con la deflazione, frustrarono gli sforzi del governo, mentre l'elevata disoccupazione portava ad una crescente inquietudine.

Agli inizi del 2002, dopo dure manifestazioni e un assalto alle banche, tutto andò in pezzi. Il legame tra il peso e il dollaro saltò, con il peso che precipitava; nel frattempo, l'Argentina dichiarò il default sul debito, pagando alla fine solo 35 centesimi per un dollaro.


E' difficile allontanare il sospetto che qualcosa di simile potrebbe accadere ad una o più delle economie europee in crisi. Dopo tutto, le politiche intraprese dai paesi in crisi sono, almeno qualitativamente, molto simili a quelle messe in atto dall'Argentina nel suo disperato tentativo di salvare il legame peso-dollaro: dura austerità fiscale, sostenuta in Grecia e Irlanda da prestiti ufficiali con lo scopo di prendere tempo fino a riconquistare la fiducia dei mercati. Ma se alla fine della storia si arriva a un risultato in stile argentino, sarà un colpo terribile per il progetto dell'euro. È questo che sta per succedere?

Non necessariamente. A mio modo di vedere, ci sono quattro diverse modalità in cui la crisi europea potrebbe svolgersi (e può anche svolgersi in modo diverso nei diversi paesi). Chiamamole: tener duro; la ristrutturazione del debito; Argentina in pieno; e rivivere l'europeismo.


Tener duro: le economie europee in crisi potrebbero, in teoria, rassicurare i creditori, mostrando la volontà di sopportare l'austerità, e quindi evitare il default e la svalutazione. I modelli qui sono i paesi baltici: Estonia, Lituania e Lettonia. Questi paesi sono piccoli e poveri per gli standards europei; vogliono fortemente conquistare i vantaggi a lungo termine che pensano di ottenere dall' adesione all'euro e dal diventare parte di una grande Europa. E così sono stati disposti a sopportare un'austerità fiscale molto rigida, mentre i salari gradualmente scendevano nella speranza di ripristinare la competitività - un processo noto in gergo come "svalutazione interna".

Queste politiche hanno avuto successo? Dipende da cosa si intende per "successo". Le nazioni baltiche, in qualche misura, sono riuscite a rassicurare i mercati, che ormai le considerano meno rischiose dell'Irlanda, per non parlare della Grecia. Nel frattempo, i salari sono scesi, del 15 per cento in Lettonia e di più del 10 per cento in Lituania ed Estonia. Tutto questo, tuttavia, ha avuto costi immensi: i Paesi Baltici hanno sperimentato la depressione e la disoccupazione. E' vero che adesso stanno di nuovo crescendo, ma tutti gli indicatori ci dicono che passeranno molti anni prima di poter recuperare il terreno perduto.

Il fatto che molti funzionari europei considerino i Paesi Baltici come una storia di successo, ci dice qualcosa sullo stato attuale dell'Europa. Io mi riconosco in Tacito: "Fanno un deserto e lo chiamano pace " - o, in questo caso, aggiustamento. Eppure, questo è un modo attraverso il quale la zona euro potrebbe sopravvivere intatta.


La ristrutturazione del debito: Nel momento in cui scrivo, i bonds irlandesi a 10 anni danno un rendimento di circa il 9 per cento, mentre i titoli greci a 10 anni danno il 12 ½ per cento. Allo stesso tempo, i bonds tedeschi a 10 anni - che, come le obbligazioni irlandesi e greche, sono denominati in euro - danno un rendimento inferiore al 3 per cento. Il messaggio da parte dei mercati è stato chiaro: gli investitori non credono che la Grecia e l'Irlanda riesciranno a pagare i loro debiti per intero. In altre parole, si aspettano una qualche forma di ristrutturazione del debito, come la ristrutturazione che ha ridotto di due terzi il debito dell'Argentina.

Una tale ristrutturazione del debito non significherebbe affatto la fine delle sofferenze per le economie in crisi. Prendiamo la Grecia: anche se il governo dovesse ripudiare tutto il suo debito, dovrebbe ancora tagliare la spesa e aumentare le tasse per pareggiare il bilancio, e ancora dovrebbe sopportare il peso della deflazione. Comunque la ristrutturazione porrebbe fine al circolo vizioso del calo della fiducia e dell'aumento degli oneri, rendendo la svalutazione interna una strategia potenzialmente praticabile, anche se brutale.

Francamente, la vedo dura che la Grecia possa evitare una ristrutturazione del debito, e l'Irlanda non la vedo molto meglio. La vera questione è se la ristrutturazione si diffonderà anche alla Spagna e - prospettiva davvero spaventosa - al Belgio e all'Italia, che sono pesantemente indebitati ma finora hanno fatto in modo di evitare una seria crisi di fiducia.


Full Argentina: l'Argentina non ha semplicemente dichiarato default sul proprio debito estero, ma ha anche abbandonato il suo legame con il dollaro, permettendo al valore del peso di deprezzarsi per più di due terzi. E questa svalutazione ha funzionato: dal 2003 in poi, l'Argentina ha sperimentato un rapido rimbalzo trainato dalle esportazioni.

Il paese europeo che è arrivato più vicino all'Argentina è l'Islanda, le cui banche avevano debiti esteri che ammontavano a molte volte il suo reddito nazionale. A differenza dell'Irlanda, che ha cercato di salvare le sue banche, garantendo i loro debiti, il governo islandese ha costretto i creditori esteri delle banche a sopportare le perdite, limitando così il suo debito. E lasciando che le banche andassero in default, ha anche cancellato un sacco di debito estero dai suoi conti nazionali.


Allo stesso tempo l'Islanda ha approfittato del fatto che non aveva aderito all'euro e aveva ancora una propria moneta. Ben presto è diventata più competitiva, lasciando scendere molto la sua moneta rispetto ad altre valute, compreso l'euro. I salari e i prezzi dell'Islanda sono rapidamente scesi di circa il 40 per cento rispetto a quelli dei suoi partners commerciali, scatenando un aumento delle esportazioni e la caduta delle importazioni, fatto che ha contribuito a compensare il colpo del crollo bancario.
In Islanda la combinazione di default e svalutazione ha contribuito a limitare i danni del disastro bancario. In effetti, in termini di occupazione e di produzione, l'Islanda ha fatto un po 'meglio dell'Irlanda e molto meglio dei paesi baltici.


Sarà questa la strada che percorrà una, o più d'una, delle nazioni europee in crisi? Per farlo, dovrebbero superare un grande ostacolo: il fatto che, a differenza dell'Islanda, non hanno più le loro proprie valute. Come ha fatto notare Barry Eichengreen di Berkeley in un'autorevole analisi nel 2007, se un paese dell'unione anche solo accennasse a uscire dall'euro innescherebbe una corsa devastante agli sportelli, in quanto i depositanti si precipiterebbero per spostare i propri fondi in rifugi più sicuri. E Eichengreen ha concluso che questo ostacolo "procedurale" all'uscita, di fatto, rende l'euro irreversibile.

Ma anche il legame dell'Argentina col dollaro avrebbe dovuto essere irreversibile, e per la stessa ragione. Ciò che alla fine ha reso possibile la svalutazione è stato il fatto che, nonostante l'insistenza del governo che un peso sarebbe sempre stato cambiato con un dollaro, l'assalto alle banche si è verificato ugualmente. Questa corsa agli sportelli ha costretto il governo argentino a limitare i prelievi, e una volta che questi limiti erano orami in vigore, è stato possibile modificare il valore del peso senza scatenare una seconda corsa. Nulla di tutto ciò è avvenuto in Europa - ancora. Ma sta certamente nel regno delle possibilità, tanto più quanto più avanza l'austerità e la deflazione interna.

Risveglio dell'europeismo: gli ultimi tre scenari erano certo cupi. Ma c'è qualche speranza di un esito meno truce? Nella misura in cui c'è, dovrebbe comportare l'adozione di importanti passi avanti verso quella "federazione europea" voluta da Robert Schuman 60 anni fa.


Ai primi di dicembre, Jean-Claude Juncker, primo ministro del Lussemburgo, e Giulio Tremonti, ministro delle finanze in Italia, hanno creato molto clamore con la loro proposta degli "Eurobonds", che sarebbero emessi da un'agenzia europea del debito su ordine dei singoli paesi europei. Dal momento che questi titoli sarebbero garantiti dall'Unione europea nel suo complesso, questo sarebbe un modo per le economie in difficoltà di evitare il circolo vizioso del calo della fiducia e l'aumento degli oneri finanziari. D'altra parte, in questo modo potenzialmente i governi arriverebbero a dipendere gli uni dagli altri - un punto che i funzionari tedeschi, furiosi, si sono affrettati a sottolineare. I tedeschi sono convinti che l'Europa non deve diventare una "unione di trasferimenti", in cui i governi e le nazioni più forti devono regolarmente fornire aiuti ai più deboli.

Eppure, come dimostra il precedente confronto Irlanda-Nevada, gli Stati Uniti funzionano come unione monetaria in gran parte proprio perché sono anche un'unione di trasferimenti, in cui gli stati che non vanno bene hanno il sostegno di quelli che invece vanno. Ed è difficile capire come l'euro possa funzionare se l'Europa non trova il modo di realizzare qualcosa di simile.

Nessuno propone che l'Europa si avvii verso l'integrazione fiscale vera e propria degli Stati Uniti; il piano di Juncker-Tremonti sarebbe nella migliore delle ipotesi solo un piccolo passo in quella direzione. Ma l'Europa non sembra pronta nemmeno a fare questo piccolo passo.

Di tanti, uno?
Per ora, il piano in Europa è che tutti tengano duro - che Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna emulino la Lettonia e l'Estonia. Questo è stato il chiaro verdetto della più recente riunione del Consiglio europeo, in cui Angela Merkel, il cancelliere tedesco, in sostanza ha ottenuto tutto ciò che voleva. I Governi che non possono prendere in prestito sul mercato riceveranno finanziamenti dal resto d'Europa - ma solo a condizioni rigide: la gente dice che l'Irlanda sarà "salvata", ma in realtà deve pagare quasi il 6 per cento di interessi su tale prestito d'emergenza. Non ci saranno E-bonds; non ci sarà alcuna unione di trasferimenti.

Anche se alla fine funziona, come la svalutazione interna ha funzionato nei paesi baltici - nel senso stretto che le economie europee in crisi eviteranno il default e la svalutazione - sarà tuttavia un processo sgradevole, e gran parte dell'Europa rimarrà profondamente in depressione per gli anni a venire. Ci saranno anche ripercussioni politiche, perché l'opinione pubblica europea vedrà le istituzioni del continente - a seconda di dove si trova - o come salvatori di paesi falliti, o come esattori senza cuore.

Né il resto del mondo può guardare con aria di sufficienza ai guai dell'Europa. Nel suo insieme, l'Unione europea, non gli Stati Uniti, è la più grande area economica del mondo; l'Unione europea è pienamente alla pari con l'America nella gestione del commerciale globale; l'Europa è la più importante fonte mondiale di aiuti per l'estero; e checché possano pensarne alcuni americani, l'Europa è un partner fondamentale nella lotta contro il terrorismo. Una Europa in crisi è un guaio per tutti.
In ogni caso, ci sono buone probabilità che l'attuale strategia di tenere duro non funzioni, neanche nel senso stretto di evitare il default e la svalutazione - e ce ne accorgeremo ben presto. A quel punto, le nazioni più forti dell'Europa dovranno fare una scelta.

Sono passati 60 anni dalla dichiarazione Schuman, che ha portato l'Europa verso una maggiore integrazione. Fino ad ora il viaggio lungo quella strada, seppure lento, ha sempre progredito nella giusta direzione. Ma questo non sarà più vero se il progetto dell'euro fallirà. Un euro fallito non riporterà l'Europa ai giorni dei campi minati e del filo spinato - ma rappresenterebbe un colpo forse irreversibile alle speranze di una vera federazione europea.


I paesi più forti d'Europa lasceranno che questo accada? Oppure accettaranno la responsabilità, ed eventualmente il costo, di prendersi cura dei loro vicini? Il mondo intero sta aspettando la risposta.



                 
                        



2 commenti:

  1. Grazie di questa traduzione. Incrociamo le dita e speriamo che tutto vada nel verso giusto..

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  2. ...;)) nel risveglio dell'europeismo purtroppo ci credo poco, comincio a pensare che l'unica soluzione sensata sarebbe la soluzione Full Argentina...staremo a vedere!

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