09/03/11

Il Bahrain e la battaglia tra l'Iran e l'Arabia Saudita

Da Stratfor, un'interessante analisi geopolitica che spiega le implicazioni per l'Iran di  questa destabilizzazione del mondo arabo, e logicamente per il mondo intero...

di George Friedman
8 Marzo, 2011 


L'attenzione mondiale è focalizzata sulla Libia, in mezzo una guerra civile dagli esiti incerti. Benché cruciali per il popolo libico e di una certa importanza per i mercati mondiali del petrolio, a nostro avviso in questo momento la Libia non è l'evento più importante nel mondo arabo. Le manifestazioni in Bahrain sono molto più significative per le loro conseguenze sulla regione e, potenzialmente, per il mondo. Per capire questo fatto, bisogna collocarlo in un contesto strategico.

Come STRATFOR va ripetendo da un bel po', si avvicina un momento decisivo, con gli stati Uniti che dovrebbero ritirare le ultime truppe dall'Iraq entro la fine dell'anno. Anzi, siamo già a un punto in cui la composizione dei restanti 50.000 militari in Iraq è passata da truppe da combattimento a perrsonale per la formazione e il supporto. Allo stato attuale, anche questi dovrebbero partire tutti per il 31 dicembre 2011, a meno che gli Stati Uniti non si accordino per prolungare la loro permanenza. L'Iraq ancora non ha un governo stabile. Inoltre non ha un apparato militare e di sicurezza in grado di far rispettare la volontà del governo (che non ha certo un parere unanime su qualsiasi cosa) del paese, tanto meno difendere il paese da forze esterne.

Colmare il vuoto in Iraq

La decisione di ritirarsi crea un vuoto in Iraq, e la questione sulla saggezza dell'invasione a questo punto è discutibile. Gli Iraiani hanno lasciato ad intendere chiaramente che intendono riempire questo vuoto. L'Iran e l'Iraq hanno combattuto una guerra lunga e brutale nel 1980. Con il crollo dell'Unione Sovietica, l'Iran è ormai al sicuro su tutti i fronti tranne quello occidentale. L'imperativo primario di Tehran per la sicurezza è ora quello di impedire che emerga un governo forte a Baghdad e, più importante, una forza militare significativa. L'Iran non vuole affatto combattere un'altra guerra con l'Iraq, ma è suo interesse mantenerlo permanentemente debole e frammentato. Il ritiro Usa dall'Iraq getta le basi per questo obiettivo, modificando profondamente la dinamica regionale.

L'Iran ha un altro, più impegnativo interesse strategico, già da tempi biblici. Tale obiettivo è di essere la potenza dominante nel Golfo Persico.

Per Teheran, si tratta di un obiettivo ragionevole e raggiungibile. L'Iran ha la forza militare più grande e più ideologicamente impegnata di ogni stato della regione del Golfo Persico. Nonostante l'apparente raffinatezza tecnologica degli eserciti degli stati del Golfo, in realtà sono delle carcasse.
L'Iran no. Oltre ad essere la principale forza militare nel Golfo Persico, l'Iran ha 75 milioni di persone, con una popolazione più grande di tutti gli altri stati del Golfo Persico messi insieme.
Le potenze straniere hanno impedito all'Iran di dominare la regione, dopo la caduta dell'Impero Ottomano, in primo luogo il Regno Unito e poi gli Stati Uniti, che, sistematicamente, hanno sostenuto i paesi della Penisola Arabica. Era nell'interesse degli stranieri di mantenere una regione divisa, e di impedire al paese più potente della regione di dominare, anche quando gli stranieri erano alleati con l'Iran.

Con il ritiro Usa dall'Iraq, questa strategia viene abbandonata, nel senso che la forza necessaria per contenere l'Iran viene ritirata. Le forze lasciate in Kuwait e le forze aeree Usa potrebbero essere in grado di limitare un attacco convenzionale iraniano. Eppure, il ritiro degli Stati Uniti lascia gli iraniani con la forza militare più potente della regione, indipendentemente dal fatto che si dotino di armi nucleari. Infatti, a mio avviso, la questione nucleare in gran parte è stata un diversivo iraniano rispetto alla questione fondamentale, vale a dire, l'equilibrio regionale dopo il ritiro degli Stati Uniti. Focalizzando l'attenzione sulla questione nucleare, queste altre questioni sembravano secondarie e sono state largamente ignorate.

Il ritiro degli Stati Uniti non significa che gli Stati Uniti siano impotenti contro l'Iran. In Kuwait è posizionata una squadra di combattimento che dispone di mezzi navali e aerei. Gli USA possono anche ritornare in forza nella regione se l'Iran diventa aggressivo. Ma ci vogliono almeno diversi mesi perché gli Stati Uniti riportino nell'area altre truppe, e ci vuole anche la volontà politica, cosa che negli anni a venire sarà difficile. Non è chiaro se le forze disponibili sul campo potrebbero fermare una mossa determinata da parte dell'Iran. In ogni caso, l'Iraq sarà privo di truppe americane, e l'Iran potrà operare molto più liberamente.

L'Iran non ha bisogno di cambiare gli equilibri di potere nella regione attraverso l'esercizio palese della forza militare. La sua capacità di influenza, fuori dal controllo della potenza americana, è significativa. Può sostenere in maniera occulta le forze filo-iraniane nella regione, destabilizzando i regimi esistenti. Con la psicologia delle masse arabe che cambia, poiché non hanno più paura di sfidare i loro governi, l'Iran avrà maggiori chances di provocare instabilità.
Per la sua importanza, il ritiro degli Stati Uniti causerà un profondo cambiamento nella percezione psicologica del potere nella regione. Il riconoscimento del potere iraniano sul terreno comporterà una percezione politica dell'Iran molto diversa, e il desiderio di compiacere Teheran. Gli iraniani, che conoscono la debolezza della loro logistica militare e della forza aerea, stanno perseguendo una strategia di approccio indiretto. Stanno gettando le basi per la percezione di una maggiore potenza iraniana e di un calo della potenza americana e saudita.

Bahrain, il banco di prova

Bahrain è il perfetto esempio e banco di prova. Un'isola al largo della costa dell'Arabia Saudita, il Bahrain e l'Arabia Saudita sono collegati da un ponte. Per molti aspetti, il Bahrain è parte dell'Arabia Saudita. A differenza dell'Arabia Saudita, non è uno tra i maggiori produttori di petrolio, ma è un centro bancario.
E' anche la sede della quinta flotta degli Stati Uniti, e ha stretti legami con gli USA. La maggioranza della popolazione è Sciita, ma il suo governo è Sunnita e fortemente legato all'Arabia Saudita. La popolazione Sciita non sta bene economicamente come gli Sciiti in altri paesi della regione, e le tensioni tra il governo e la comunità esistono da lungo tempo.
Il rovesciamento del governo del Bahrain da parte di un movimento Sciita, potenzialmente, potrebbe incoraggiare gli Sciiti in Arabia Saudita, che vivono soprattutto nel nord-est, regione ricca di petrolio e vicina al Bahrain. Inoltre potrebbe indebolire la posizione militare Usa nella regione. E sarebbe una dimostrazione della potenza Iraniana.
Se i Sauditi intervenissero in Bahrain, gli Iraniani avrebbero ragione di giustificare un proprio intervento, occulto o palese. L'Iran potrebbe anche usare qualsiasi repressione violenta sui manifestanti da parte del governo del Bahrein come pretesto per giustificare un intervento più aperto. Nel frattempo, gli Stati Uniti, che in Bahrain dispongono di circa 1.500 militari, più il personale dell'ambasciata, si troverebbe a dover scegliere tra rinforzare le truppe o ritirarsi.

Certo, ci sono i processi interni in corso in Bahrain che non hanno nulla a che fare con l'Iran o con questioni di politica estera. Ma proprio come la dinamica interna delle rivoluzioni incide sulla scena internazionale, la scena internazionale incide sulla dinamica interna; osservare solo una delle due non è sufficiente per capire cosa sta succedendo.
Gli Iraniani hanno chiaramente un interesse a rovesciare il regime del Bahrain. Benché non sia chiaro sino a che punto gli Iraniani sono coinvolti nei disordini del Bahrein, essi hanno chiaramente una grande influenza su un religioso dissidente, Hassan Mushaima, di recente tornato in Bahrain da Londra per partecipare alle proteste. Detto questo, il governo del Bahrein dal suo canto potrebbe utilizzare i disordini per raggiungere i propri obiettivi politici, così come l'Esercito Egiziano ha usato la rivolta in Egitto. Come tutte le rivoluzioni, gli eventi in Bahrain sono enormemente complessi - e nel caso del Bahrain, la posta in gioco è estremamente alta.

A differenza della Libia, i cui effetti sono principalmente interni, gli eventi in Bahrain coinvolgono chiaramente gli interessi dei Sauditi, degli Iraniani e degli Statunitensi. Il Bahrain rappresenta anche la migliore occasione per l'Iran, dato che è sia la nazione più fortemente Sciita sia quella in cui gli Sciiti hanno da fare le maggiori rimostranze. Ma gli Iraniani hanno anche altri obiettivi, che riguardano qualsiasi area adiacente all'Arabia Saudita con una popolazione Sciita e basi americane. Questo include l'Oman, che gli Stati Uniti usano come una base per le esercitazioni; il Qatar, sede del Comando Centrale Usa e sede della base aerea di Al Udeid; e il Kuwait, l'hub logistico strategico per le operazioni in Iraq e sede di importanti strutture di supporto, di stoccaggio e di scalo per l'esercito. Tutti e tre hanno sperimentato o stanno sperimentando manifestazioni e proteste. Logicamente, questi sono i primi obiettivi dell'Iran.

Il più grande obiettivo di tutti è, ovviamente, l'Arabia Saudita. E' il cuore della Penisola Arabica, e la sua destabilizzazione cambierebbe l'equilibrio regionale del potere e il modo in cui funziona il mondo. L'Iran non ha mai fatto segreto della sua animosità verso l'Arabia Saudita, né viceversa. L'Arabia Saudita ora potrebbe trovarsi in una morsa. C'è instabilità politica nello Yemen, che potenzialmente può sconfinare nelle aree al sud dell'Arabia Saudita - a concentrazione Ismaili. La situazione in Iraq si sta muovendo a favore dell'Iran. Cambiamenti di regime in uno o due dei paesi sul litorale del Golfo Persico potrebbero generare enormi paure indipendentemente da ciò che gli Sciiti Sauditi faranno effettivamente, e potrebbero suscitare discordia nella famiglia reale. Non sorprende, quindi, che i Sauditi stanno muovendosi aggressivamente contro ogni segno di agitazione tra gli Sciiti, arrestando decine di oppositori. I Sauditi si trovano chiaramente in un disagio estremo.

Posizione di potere dell'Iran
Gli iraniani sarebbero felici di provocare un cambiamento di regime in tutta la regione, ma questo non è probabile che si verifichi, almeno non in tutta la regione. Tuttavia sarebbero ugualmente felici semplicemente di una massiccia instabilità nella regione. Con gli Stati Uniti che si ritirano dall'Iraq, i Sauditi rappresentano i maggiori sostenitori dei Sunniti in Iraq. Con i Sauditi esautorati, si aprirebbe la strada all'influenza Iraniana in Iraq. A quel punto, ci sarebbero tre opzioni: un esteso intervento della Turchia, cosa che non è ansiosa di fare; gli Stati Uniti che fanno retromarcia e aumentano le truppe nella regione a sostegno dei regimi traballanti, cosa per cui non c'è volontà politica negli Stati Uniti; e gli Stati Uniti che accettano il cambiamento nell'equilibrio regionale del potere.

Ci sono due processi in corso. Il primo è che l'Iran diventa la potenza straniera con la maggiore influenza in Iraq, non illimitata e non incontestata, ma certamente la più grande. Il secondo è che come gli Stati Uniti si ritirano, l'Iran sarà in grado di perseguire i propri interessi in maniera più decisa. Tali interessi si dividono in tre parti:

   1. eliminare le potenze straniere dalla regione per massimizzare la potenza Iraniana,
   2. convincere l'Arabia Saudita e altri paesi della regione che devono raggiungere un compromesso con l'Iran o affrontare delle conseguenze potenzialmente pericolose, e
   3.
una ridefinizione della economia del petrolio nel Golfo Persico a favore dell'Iran, compresa la partecipazione iraniana ai progetti sul petrolio negli altri paesi del Golfo Persico, e degli investimenti regionali per lo sviluppo energetico iraniano.

Gli eventi nel Golfo Persico sono molto diversi dagli eventi in Nord Africa, con implicazioni molto più ampie. Il Bahrain è il punto focale di una lotta tra l'Arabia Saudita e l'Iran per il controllo del litorale occidentale del Golfo Persico. Se l'Iran non è in grado di volgere a suo vantaggio gli eventi in Bahrain, il luogo a lei più favorevole, il momento passerà. Se il governo del Bahrain cade, si apre la porta a ulteriori azioni. Se l'Iran ha fomentato le rivolte, non è chiaro e non ha importanza; il fatto certo è che ora è coinvolto, come lo sono i Sauditi.

Gli Iraniani sono in una posizione di potere, qualunque cosa accada, dato il ritiro Usa dall'Iraq. Aggiungeteci una serie di cambiamenti di regime, o semplicemente una destabilizzazione al confine con l'Arabia Saudita, e accadono due cose. In primo luogo, il regime Saudita sarebbe nei guai e dovrebbe negoziare un qualche accordo con gli Iraniani - e non un accordo favorevole ai Sauditi. In secondo luogo, la posizione degli Stati Uniti nel Golfo Persico sarebbe fortemente destabilizzata, rendendo l'intervento degli USA nella regione ancora più difficile.

Il problema creato dal ritiro degli Stati Uniti dall'Iraq senza aver instaurato un governo forte e filo-americano rimane la questione centrale. L'instabilità nel Golfo Persico permette gli iraniani una strategia parallela a basso rischio e ad alta ricompensa che, se funziona, potrebbe scardinare l'equilibrio di potere in tutta la regione. La minaccia di una rivolta in Iran appare minima, con il governo Iraniano che non ha nessuna reale difficoltà a reprimere l'opposizione. La resistenza sulla sponda occidentale del Golfo Persico può anche essere schiacciata o disciolta, nel qual caso l'Iran manterrebbe ancora la sua posizione di vantaggio in Iraq. Ma se la tempesta perfetta si presenta, con l'Iran che aumenta la sua influenza in Iraq e una massiccia destabilizzazione nella penisola arabica, gli Stati Uniti si troveranno davanti a scelte estremamente difficili e pericolose, a cominciare dalla questione di come resistere all'Iran mantenendo il prezzo del petrolio gestibile.

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