26/03/11

L'Illusione dell'Austerità

Imparare dalle lezione europea  che le politiche di austerità non servono, anzi peggiorano le cose...

 
March 24, 2011 

Il Governo del Portogallo è appena caduto in occasione del dibattito parlamentare su delle proposte di austerità. I rendimenti dei titoli irlandesi per la prima volta hanno superato il 10 per cento. E il governo britannico ha appena rivisto le sue previsioni economiche al ribasso e le sue previsioni sul deficit al rialzo.

Che cosa hanno in comune questi eventi? Sono tutte prove che tagliare la spesa a fronte di un'elevata disoccupazione è un errore. I sostenitori dell'austerità prevedevano che i tagli alle spese avrebbero portato a veloci miglioramenti nella forma di un aumento della fiducia, e che ci sarebbero stati pochi, se non nessun effetto negativo sulla crescita e l'occupazione, ma si sbagliavano.

Peccato, allora, che in questi giorni non si è considerati seri a Washington, a meno che non si professi fedeltà alla stessa dottrina che ha fallito così miseramente in Europa.
Non è stato sempre così. Due anni fa, di fronte alla crescente disoccupazione e ai grandi deficit di bilancio - entrambi conseguenze di una grave crisi finanziaria - la maggior parte dei leaders dei paesi avanzati sembrava aver capito che i problemi dovevano essere affrontati in sequenza, con un impegno immediato verso la creazione di posti di lavoro, combinato con una strategia più a lungo termine di riduzione del deficit.
Perché non tagliare il deficit immediatamente? Perché aumenti della pressione fiscale e tagli alla spesa pubblica deprimerebbero ulteriormente l'economia, aumentando la disoccupazione. E tagliare le spese in un'economia profondamente depressa è in gran parte autolesionista, anche in termini puramente fiscali: eventuali risparmi ottenuti da un lato sono in parte compensati dalle minori entrate, man mano che l'economia si contrae.

Quindi, posti di lavoro subito e disavanzi dopo, è stata ed è la strategia giusta. Purtroppo, è una strategia che è stata abbandonata a fronte di rischi fantasma e speranze deliranti. Da un lato, ci viene costantemente detto che se non tagliamo le spese subito finiremo come la Grecia, incapaci di prendere prestiti se non a tassi di interesse esorbitanti. D'altra parte, ci è stato detto di non preoccuparci per le conseguenze dei tagli alla spesa sui posti di lavoro, perché l'austerità fiscale effettivamente creerà posti di lavoro, aumentando la fiducia.

Come è andata la storia finora?
I sedicenti falchi del deficit hanno gridato al lupo sui tassi di interesse americani più o meno costantemente da quando la crisi finanziaria ha cominciato ad allentarsi, prendendo ogni piccolo rialzo dei tassi come un segno che i mercati stavano attaccando l'America. Ma la verità è che i tassi hanno oscillato, non per paura del debito, ma per l'andamento altalenante delle speranze sulla ripresa dell'economia. E anche se il pieno recupero sembra ancora molto lontano, i tassi sono più bassi oggi rispetto a due anni fa.
Ma l'America non potrebbe ancora finire come la Grecia? Sì, certo. Se gli investitori decidono che siamo una repubblica delle banane i cui politici non possono o non vogliono fare i conti con i problemi a lungo termine, smetteranno davvero di comprare il nostro debito. Ma non è una prospettiva che tiene conto, in un modo o nell'altro, del fatto se ci puniamo o no con tagli di spesa a breve termine.
Basta chiedere agli Irlandesi, il cui governo - dopo essersi caricato di un debito insostenibile per salvare le banche in rovina - ha cercato di rassicurare i mercati attraverso l'imposizione di feroci misure di austerità sui comuni cittadini. Le stesse persone che chiedono tagli di spesa per l'America hanno applaudito: "L'Irlanda offre una lezione ammirevole di responsabilità fiscale", ha dichiarato Alan Reynolds del Cato Institute, sostenendo che i tagli di spesa avevano rimosso i timori sulla solvibilità irlandese e lasciavano prevedere una rapida ripresa economica.

Era il giugno 2009. Da allora, il tasso di interesse sul debito irlandese è raddoppiato; il tasso di disoccupazione in Irlanda è ora pari al 13,5 per cento.

E poi c'è l'esperienza britannica. Come l'America, la Gran Bretagna è ancora percepita come solvibile dai mercati finanziari, che le lascerebbero lo spazio per perseguire una strategia incentrata in primo luogo sull'occupazione, rimandando a dopo il problema del deficit. Ma il governo del Primo Ministro David Cameron ha scelto invece di realizzare una immediata volontaria austerità, nella convinzione che la spesa privata avrbbe più che compensato la stretta del governo. Mi piace metterla così, il piano di Cameron era basato sulla convinzione che la Fata Fiducia avrebbe fatto tutto per bene.

Ma non lo ha fatto: la crescita britannica è in stallo, e il governo di conseguenza ha rivisto al rialzo le sue proiezioni sul deficit.

Il che mi riporta a ciò che succede in questi giorni a Washington per la discussione sul bilancio.

Un serio progetto di bilancio per l'America dovrebbe affrontare le componenti della spesa a lungo termine, in primo luogo i costi per l'assistenza sanitaria, e dovrebbe quasi certamente comprendere un qualche aumento delle imposte. Ma noi non siamo seri: il discorso di utilizzare i fondi Medicare in modo efficace è accolto con grida di "giudizi di morte", e la posizione dei Repubblicani – a mala pena contestata dai Democratici - sembra essere che nessuno mai dovrebbe pagare tasse più alte. Invece, tutti parlano di tagli di spesa di breve periodo.

In breve, abbiamo un clima politico in cui i sedicenti falchi del deficit vogliono punire i disoccupati opponendosi a qualsiasi azione che possa affrontare i nostri problemi di bilancio a lungo termine. Ed ecco cosa impariamo dall'esperienza all'estero: La Fata Fiducia non ci salverà dalle conseguenze della nostra follia.

1 commento:

  1. Bisogna notare tuttavia, e, rendere giustizia che davanti al pericolo di un cedimento i repubblicani hanno saputo trovare un accordo sul "cliff fiscale" con Obama. Hanno fatto prova gli uni e gli altri di maturità al di là degli interessi personali.

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