07/02/14

L’Argentina sta attraversando una crisi di bilancia dei pagamenti? Era inevitabile?

Riportiamo qui un articolo di Martin Rapetti sull’Argentina, ricordando che si sta svolgendo un dibattito in proposito.
Se ne è parlato  qui su Goofynomics, e sempre qui la risposta di Roberto Lampa.
A seguire la segnalazione del prof. Bagnai su Twitter dell'articolo qui tradotto, e la risposta di Matìas Vernengo su Naked Keynesianism.





La scorsa settimana la Banca centrale Argentina ha lasciato che il tasso di cambio nominale salisse da 6,7 pesos per dollaro a 8. Questa svalutazione si aggiunge a un'altra svalutazione del 10% che si era verificata più lentamente dal primo dicembre 2013. Possiamo considerarla come una crisi valutaria o una crisi di bilancia dei pagamenti? Poiché il concetto stesso di una crisi economica — sia essa fiscale, finanziaria o di bilancia dei pagamenti — è sempre incerto, iniziamo fornendo quella che credo sia una definizione condivisa di una crisi di bilancia dei pagamenti. Essa accade quando la Banca centrale cerca senza successo di mantenere il tasso di cambio nominale intorno a un certo valore ed è costretta — dopo aver perso una notevole quantità di valuta estera (FX) di riserva — a svalutare tutto in una volta o a lasciare che la valuta si deprezzi liberamente.

 
È quanto accaduto di recente in Argentina? Ecco i fatti. Da luglio 2011, lo stock di riserve FX era di circa 52 miliardi di dollari. Il tasso di cambio era di 4,1 pesos per dollaro, appena il 7% più alto rispetto al luglio 2009 (3,85 pesos per dollaro). Nell'agosto 2011 — tre mesi prima delle elezioni presidenziali — la Banca centrale ha iniziato a consumare le riserve. Nel novembre 2011, solo poche settimane dopo che Cristina Kirchner era stata rieletta, le riserve ammontavano a 46 miliardi di dollari. Dato che il consumo di valuta estera di riserva non ha mostrato alcun segno di fermarsi, l'autorità ha iniziato ad attuare una serie di misure per limitare la domanda di valuta estera. I controlli hanno innescato la nascita del mercato nero della valuta. Le riserve FX continuavano a calare, dolcemente nel corso del 2012 e molto rapidamente dall'inizio del 2013. Nel novembre 2013, dopo le sfortunate elezioni di medio termine, la “Presidenta” licenziò il governatore della Banca centrale e incaricò una nuova squadra economica. Le riserve FX erano allora 33 miliardi  di dollari e il tasso di cambio aveva raggiunto 6 pesos per dollaro. Come ho già accennato, una settimana fa, il prezzo del dollaro è balzato a 8 pesos. Le riserve FX sono ora circa 28 miliardi di dollari. La Banca centrale è riuscita a mantenere il tasso di cambio a 8 pesos a costo di perdere 150/200 milioni di dollari di riserve al giorno. Si sono diffuse aspettative di un’ulteriore svalutazione e pochi credono che le autorità possano sostenere il tasso di cambio al nuovo livello, soprattutto perché il tasso di inflazione ha accelerato sopra il 30% annuale. In breve, le riserve FX sono scese finora del 46% e il tasso di cambio è aumentato del 95%. Se ha l’aspetto di un cane, cammina come un cane e abbaia come un cane, allora... probabilmente è una crisi di bilancia dei pagamenti.

Alcuni analisti ancora rifiutano l'idea che Argentina stia attraversando una crisi di bilancia dei pagamenti. Il recente pezzo di Matías Vernengo ne è un buon esempio. Egli sostiene che "questa non è una crisi di bilancia dei pagamenti" e sostiene la sua affermazione sottolineando il fatto che l'Argentina ha un piccolo deficit di partite correnti e che il tasso di cambio reale (RER) non è sopravvalutato tanto quanto in Brasile. Ha ragione: il disavanzo delle partite correnti è stato soltanto dello 0,5% del PIL nel 2013 (anche se sarebbe stato più elevato senza il controllo delle importazioni) e il RER non è certamente sopravvalutato quanto quello del Brasile (che, tra l'altro, è molto sopravvalutato). Ma questi fatti non suffragano l'affermazione che l’Argentina non stia vivendo una crisi di bilancia dei pagamenti. A Matías sembra sfuggire un punto importante: fintanto che la svalutazione prevista del tasso di cambio che la Banca centrale sta difendendo è maggiore del rendimento degli asset nazionali, c’è un eccesso di domanda di valuta estera che porta al depauperamento delle riserve FX e al crollo della valuta nazionale. Anche se sarebbe un evento raro, questo potrebbe accadere perfino in un paese con un surplus di partite correnti.
Le incoerenze alla radice della crisi attuale dell'Argentina sono del tipo che segue. A partire dal 2007, l'inflazione è stata intorno al 25-30% all'anno. Dal 2010, la Banca centrale ha cominciato ad usare il cambio valutario come strumento principale di ancoraggio nominale dell'inflazione. Durante i due anni precedenti le elezioni del 2011, i prezzi interni sono saliti del 54% mentre il cambio nominale saliva solo del 12%. Di conseguenza il RER si è apprezzato notevolmente. Il tasso di interesse nominale durante lo stesso periodo è stato di circa il 10% (in termini reali il -15%). Una politica come questa è chiaramente insostenibile e a un certo punto le aspettative di svalutazione/deprezzamento sarebbero cominciate ad emergere. L’elezione del 2011 è servita come strumento di coordinamento-aspettativa. Dal momento che i governi non prendono misure impopolari prima delle elezioni, ma lo fanno in genere dopo, la gente ha cominciato ad anticipare una svalutazione a metà del 2011. Ecco perché il consumo delle riserve FX è iniziato poco prima delle elezioni.

Quasi un anno fa, ho cominciato a sottolineare queste incongruenze e a sostenere che i controlli imposti dalla fine del 2011 non avrebbero risolto il problema, ma lo avrebbero solo esacerbato. Ho sostenuto che una correzione del RER sarebbe stata inevitabile e che il governo avrebbe dovuto risolvere tali incoerenze appena possibile. Ero consapevole che una svalutazione reale avrebbe avuto un effetto restrittivo.  Il mio timore era (ed è tuttora) che una correzione del RER fatta attraverso una crisi di bilancia dei pagamenti potrebbe portare ad una svalutazione eccessiva del tasso di cambio (overshooting) e ad una spirale inflazione-svalutazione impossibile da controllare per il governo. Tale scenario comporterebbe un calo significativo nei salari reali e dell’occupazione. Questo scenario dovrebbe essere evitato.

Affermazioni come le mie sembrano essere la fonte di altra confusione nell'analisi di Matias. Egli sostiene che persone come Luiz Carlos Bresser Pereira, Roberto Frenkel e me propagandano una svalutazione perché sosteniamo l'idea che il mantenimento di un tasso di cambio reale competitivo (CRER) è benefico per la crescita. Io sostengo davvero una strategia CRER per lo sviluppo, ma se si leggono i miei articoli (qui in inglese; qui e qui in spagnolo), si vede che la mia proposta si basava sulle incongruenze della politica macroeconomica e non sulla mia frustrazione riguardo all'abbandono della strategia competitiva RER effettuata in Argentina tra il 2002 e 2008.

La fonte della confusione di Matias è, a mio parere, chiaramente esposta in questo pezzo.  Egli sostiene che la crescita sia guidata dai salari, quindi svalutazioni del tasso di cambio reale incidono negativamente sulla crescita (come dice il testo di Krugrman-Taylor) e non positivamente (come dice il testo di Frenkel-Taylor). I 2 testi dello  stesso autore sono contradittori? No, il problema è che Matías confonde un'importante distinzione tra gli effetti di breve e di lungo periodo del tasso di cambio reale sulle performance economiche. Nel testo Krugman-Taylor, una svalutazione reale (un cambiamento nel RER) ha un effetto negativo sulla produzione e sull'occupazione nel breve periodo; nel testo Frenkel-Taylor, un livello competitivo di RER ha un effetto positivo sulla crescita di lungo periodo. Questi sono gli argomenti teorici che devono essere valutati empiricamente in ogni circostanza storica (ho fatto qualche lavoro sull’ultimo qui e qui), ma non possiamo farlo correttamente se fraintendiamo il ragionamento economico che ci sta dietro.

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